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Lo faccio all'italiana

domenica 10 febbraio 2008

la storia infoibata


Dal numero di Febbraio 2007 de "L'Urlo", giornalino studentesco del liceo E. Montale di Roma.
10 Febbraio: Giornata del ricordo delle foibe.
Come chiudere gli occhi davanti ad un eccidio di massa, ad una pulizia etnica, alla morte di connazionali non aventi altra colpa che quella di essere Italiani?
Molti mi rispondono che rispetto ai cinque milioni di ebrei sterminati dai nazisti, qualche migliaio di italiani sono poca roba… a loro ed alle loro ignobili anime replico che la tragedia non si misura su di una bilancia il quale ago pende a seconda del peso (del numero) dei corpi esanimi che essa si lascia dietro, ma sull’efferatezza di un crimine che un uomo o un’ideologia hanno la risolutezza di compiere.
L’infame intento.
Josip Broz, meglio conosciuto come il maresciallo Tito, segretario del partito comunista Jugoslavo e poi fondatore dello stato socialista, alla fine della seconda guerra mondiale condusse le sue truppe partigiane in una violenta occupazione dei territori del nostro confine orientale: Trieste, Fiume, la Dalmazia e tutta l’Istria, territori italiani fin dal tempo delle province romane, erano in mano alle imperversanti truppe slavo-comuniste. L’intento di Tito era eliminare gli italiani per balcanizzare il territorio e “bonificare” l’Istria, Fiume e la Dalmazia dalla presenza millenaria del ceppo latino-veneto.
Le foibe.
Il termine foiba è una corruzione dialettale del latino “fovea” che significa fossa; le foibe, infatti, sono voragini rocciose create dall’erosione di corsi d’acqua nell’altopiano del Carso. Esse furono utilizzate per infoibare (“spingere nella foiba”) migliaia di istriani e triestini, soprattutto italiani (fascisti e non) ma anche slavi anticomunisti, addirittura alcuni membri del CLN, colpevoli di opporsi all’espansionismo comunista slavo di Tito, che doveva dimostrare agli altri stati seguaci della corrente sovietica di essere in grado di controllare, sotto la propria egida, diversi tipi di etnie.
Strategie di un abominio.
Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba; qui gli aguzzini, non paghi dei maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite filo di ferro ad ogni singola persona con l’ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli uni agli altri sempre tramite il fil di ferro. I massacratori, per risparmiare munizioni, sparavano soltanto al primo malcapitato del gruppo che, ruzzolando rovinosamente nella foiba, trascinava con sé gli altri; essi morivano di stenti, il freddo e l’inedia non lasciavano superstiti. Sollazzo delle truppe slave era, sovente, gettare nelle foibe, dopo l’esecuzione, un famelico cane nero che rendesse, se possibile, ancora peggiori le ultime ore di vita dei condannati.
Gli aguzzini agirono su direttive dell'OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di manovalanza locale. Nell'invasione jugoslava dell’Istria, e di ciò che ne seguì, i comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare e ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della "difesa popolare". Quei tragici avvenimenti furono infatti il frutto di un disegno politico preventivamente preparato e cinicamente eseguito.
Un inevitabile paragone.
Nella memoria collettiva e nella storiografia ufficiale l’Olocausto è giustamente presente, e non potrebbe essere altrimenti. Trova spazio in tutti i libri di testo, nella cinematografia mondiale sia filmica che documentaristica e viene ricordato costantemente, rasentando l’eccesso, dai mezzi di informazione. Ogni studente italiano conosce bene quegli orrori.
La tragedia istriana giuliano dalmata, al contrario, è stata per decenni omessa, oltre che da tutto il susseguirsi di governi (tranne l’ultimo di centro-destra che ha il merito di aver istituito la Giornata del Ricordo), da tutti i testi scolastici ed è solo in seguito al dibattito sulla faziosità dei libri di testo, che in alcune edizioni viene riportata qualche informazione a riguardo, anche se spesso, purtroppo, ancora in forma superficiale e didascalica.
La condanna politica e morale di tutti gli stati nei confronti dell’antisemitismo è unanime, e, in forma autocritica, anche molti esponenti dei governi tedeschi sono sempre stati in prima linea nell’esecrare quegli accadimenti. Diversamente, in merito al genocidio titino, non c’è mai stata alcuna presa di posizione ufficiale di condanna da parte dei governi balcanici: la Jugoslavia prima, la Croazia e la Slovenia poi, oltre a non aver mai espresso le loro “scuse ufficiali” ai familiari delle vittime, non hanno collaborato ad aprire, agli storici di tutto il mondo, i loro archivi di stato (basti pensare alla reazione del presidente croato Mesic al discorso di Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo” del 10 Febbraio 2007). Anche sul piano giudiziario, le procedure ed i risultati sono da sempre stati diversi: sebbene alcuni siano riusciti ad eludere la giustizia internazionale, molti gerarchi nazisti sono stati processati a Norimberga. Nessun criminale titino ha invece scontato un solo giorno di carcere, a cominciare proprio dal loro leader, inspiegabilmente a lungo stimato e “riverito” da molti capi di stato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E voi, potenti della terra, siete apparsi conniventi con gli autori degli eccidi. Vi siete bendati gli occhi, turati gli orecchi e tappata la bocca per più di mezzo secolo.
Politici, giornalisti e uomini di cultura avete sperato nell’oblio. C’era forse qualcosa di immorale nella memoria, che il passare del tempo avrebbe rimosso?
O lo avete fatto per il quieto vivere, per omertà con i vincitori?
Oppure siete stati zitti perché si trattava di fascisti? Ventimila fascisti gettati in un mondezzaio come rifiuti e trecentomila ammassati in campi profughi come esseri di livello inferiore.
E voi storici non avete dato alcun rilievo ad una tragedia, che resta una pagina bianca, o forse sarebbe meglio dire nera, nei libri di testo, confermando che per oltre mezzo secolo la storia non è capace di uscire dal limbo dell’oblio, quando le vittime riguardano persone ritenute seguaci di un regime sconfitto; la colpa dell’appartenenza punita duramente senza neppure un processo.

 

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