Spaghetti Blog



Lo faccio all'italiana

venerdì 25 dicembre 2009

Il tempo di Natale

Eravamo solo dei fanciulli delle Ardenne.
La neve chiudeva l'orizzonte, incappucciava i colmi dei tetti e aderiva a strati sempre più spessi sotto i nostri zoccoli.
Eravamo sicuri di aver visto S. Giuseppe voltare l'angolo di Rue du Molin.
A mezzannotte, la salita della chiesa era difficile da farsi.
Ci era stato permesso di tenere in mano i nostri zoccoli per l'ultima ripida scorciatoia.
Poi, eravamo passati bruscamente dalla notte, con le gugliue ghiacciate, all'odore delle navate splendenti.
Ci girava un po' la testa. L'incenso ci ubriacava. il Decano stesso era pallido.
Ma il coro faceva un chiasso da allontanare i cinghiali a dieci chilometri dai nostri grandi e folti boschi.
Il tiramantice dell'organo pedalava come se temesse di arrivare in ritardo.
Il maestro trascinava il coro in un vortice di voci.
Al momento del "E' mezzanotte Cristiani", l'emozione e il clamore erano tali che noi ci eravamo arrampicati sulla paglia delle segiole in attesa che, improvvisamente, gli angeli scendessero volteggiando sopra il coro.
Ma gli angeli avevano continuato, saggiamente, a restare in mezzo alle candele, con le loro grandi ali immobili. Ci eravamo accostati a loro, con una monetina da due soldi nei guantoni di lana.
Ci eravamo messi in ginocchio sul marmo. Il bue bruno e l'asino grigio si trovavano vicini vicini a noi.
E noi bruciavamo dal desiderio di toccarli, per vedere se il loro pelo fremesse come alla fontana.
Ma i fanciulli amano i fanciulli ancor più delle bestie. Gesù era steso sulla paglia.
I nostri cuori si intenerivano al pensiero che egli doveva avere tanto freddo.
Nessuno gli aveva dato calzettoni come a noi. Nè zoccoli. Nè sciarpa per riparare il naso. Nè guanti di lana verde per coprire le screpolature.
Guardavamo un po' stupiti papà San Giuseppe che non faceva nulla per distinguersi e la Mamma azzurra e bianca, tanto immobile e così bella.... Noi conoscevamo solo mamme belle con occhi puri in cui si poteva vedere tutto: Avevamo tanto guardato quegli occhi... ma quelli della Mamma di Gesù Bambino ci incantavano completamente, come se il cielo facesse vedere ai fanciulli più di quel che vedono gli uomini.
Non dicevamo nulla ridiscendendo il pendio. Quando i bambini non dicono nulla, ciò significa che essi hanno tante cose da dire....
Il cioccolato fumante, la tavola grande coperta di dolci fatti in casa, non sono mai riusciti, al ritorno, a strapparci dagli invisibili conversari che si erano stretti tra i figli di mamme umane e il figlioletto della Mamma del Cielo. Sopra il piano, un altro presepio era stato allestito, ove noi potevamo, ritti sullo sgabello, prendere in mano il bue e l'asino.
Ogni sera si accendevano tante candeline rosa e azzurre. Ognuno aveva la sua, sulla quale, alla fine della preghiera, dava un gran soffio. Dietro, nell'ombra, in ginoccchio accanto a una seggiola, la mamma dirigeva i nostri slanci religiosi, ci guidava.
Quando tutto era finito, quando ci volgevamo verso di lei per ottenere il permesso di spegnere le nostre graziose luminarie, vedevamo nei suoi occhi brillare tanto fervore....
Il Paradiso scende nel cuore dei fanciulli quando è la mamma a portarlo..


MILITIA - Leon Degrelle

venerdì 27 novembre 2009

Tutti figli di un dio iperboreo







Da quando Julius Evola è apparso in Italia, le bussole dei nostri cuori puntano decisamente verso Nord. Il Nord iperboreo, da dove scesero gli Indiani e i Persiani, i Greci e i Latini, e i loro fratelli più giovani, quei popoli germanici che forgiarono l’anima e la colonna vertebrale delle nazioni europee ed europoidi, da Vancouver a Vladivostock, passando ovviamente per l’Italia.
All’inizio dell’Iliade è posta una scena gustosa, molto cinematografica. Achille adirato sta per avventarsi contro Agamennone, ma la Dea lo ferma. Tirandolo per i capelli. I pochi versi con i quali Omero scolpisce la scena assumono il loro significato sole se ci raffiguriamo Achille ad immagine e somiglianza dei giovani, dai capelli lunghi e lisci come i cantanti del rock-metal, che ancora oggi si muovono tra Uppsala, Copenaghen e Dortmund, dove sgorga la fonte vitale di tutto il nostro essere. La consapevolezza di quella fonte, persa tra le nebbie della preistoria, rappresenta una delle scoperte più preziose della nostra epoca.
Gli Iperborei dicevamo. Un mito enigmatico, a cui i nostri antichi accennarono con poche parole, un mito sepolto dal cristianesimo che per diciannove secoli ci ha abituato a voltare la faccia verso la sabbia, eppure fissato con versi monumentali da Virgilio che celebrando l’apoteosi di Cesare gli disse: “Come un dio verrai, dall’immenso mare/ e obbedisca a te, l’ultima Thule!”.
Nel passaggio di secolo, Nietzsche ancora una volta pronunciò parole profetiche, ed enigmatiche: “Guardiamoci in faccia – scrisse – noi siamo Iperborei. Al di là del ghiaccio, al di là della morte, la nostra vita, la nostra gioia”.
Gli Iperborei erano il mistico popolo che abitava l’estremo Settentrione del mondo,dove il dio Kronos, re dell’età dell’oro, dorme in uno stato di sonno profondo. Dal paese degli Iperborei secondo i Greci provenivano i mistici sapienti, come Abaris e lo stesso Pitagora; e al paese degli Iperborei annualmente faceva ritorno Apollo, il dio che più di ogni altro esprime l’anima e il volto dei Greci antichi. A far riemergere dal sonno profondo dell’inconscio il regno di Thule, ci provarono nel Novecento diversi maestri di pensiero, seguendo vie diverse. Il bramano Tilak seguì la via dell’astrologia e leggendo nelle stelle dimostrò come gli arcaici indiani che avevano scritto i Veda guardavano il firmamento da un punto di vista iper-boreale. Altri seguirono la via della paleoantropologia, altri risalirono il corso delle lingue per delimitare quella Ur-Heimat (dimora primordiale) dove un Ur-Volk parlava una Ur-Sphrache. Risalendo a ritroso la catena dei secoli, per riscoprire un mondo di primordiale purezza, Evola scelse la via del mito. Comparando le mitologie di tutto l’arco boreale (un arco più ampio di quello indoeuropeo dacché spazia dai Toltechi ai Cinesi), egli ridiede volto alla terra dell’età dell’oro, dove traeva origine il biondo Vishnu e dove ritornava il dio Apollo Le pagine in cui Evola porta luce in questo mondo sepolto sfuggono ai confini della saggistica e della mitologia comparata per volare verso i domini della poesia. Tilak, Evola, Wirth – sia pur con tutti i loro limiti – riaprirono in anni tempestosi le porte del regno di Thule. Poi gli errori che furono commessi generarono tragedie. E nel sangue delle tragedie si perdette il senso di molte conquiste del pensiero.
Quando tutto fu consumato si disse che gli
Indoeuropei (termine un po’ sciocco, come sciocco sarebbe il definire gli Italiani come siculo-lombardi) avevano origine dalle steppe. Sì magari da un kolchoz slavo! Quando ogni rigore intellettuale fu perso, si disse che Ulisse era praticamente africano. Proprio Ulisse, che le saghe scandinave conoscono sotto il nome di Ull, l’arciere. Si sono dette tante cose. E molte di quelle si abbatteranno al muro del tempo. Noi oggi dobbiamo tornare a dire la verità, inseguendola sulle strade della paleoantropologia, della linguistica, del mito. Per ricominciare è prezioso l’opuscolo della Fondazione Evola intitolato Il mistero iperboreo, in cui sono raccolti gli scritti più belli di Evola sulla origine nordica del nostro mondo, uniti ad una presentazione di Alberto Lombardo che inquadra il contesto storico delle ricerche di Evola, e una conclusione di Mario Giannitrapani che aggiorna il lettore non specialista sulle ultime acquisizioni della paleoantropologia. L’Europa – a cui interessati esperti dell’O.N.U. hanno diagnosticato la morte demografica per la fine del secolo – si trova di fronte a una sfida. Alla sfida seguirà una risposta.
Alle emergenze pratiche, quotidiane che lo snaturamento dell’Europa pone, la volontà politica dei popoli del continente ha già dato risposta con verdetti elettorali inequivocabili in Austria come in Italia, nei paesi latini, come nelle nazioni nordico-germaniche. A livello spirituale la risposta sarà più lenta, ma più fruttuosa: al dilagare del fanatismo delle
religioni abramitiche, l’anima dell’Europa risponde suscitando un rinnovato interesse per la spiritualità indoeuropea. Appellandoci all’ottimismo della volontà, ci sembra di scorgere già oggi segnali incoraggianti di questa risposta.
Nella riscoperta della nostra spiritualità il tema della origine nordica occupa un posto fondamentale. Gli europei di nuova generazione hanno il diritto di sapere che non sono nati dal fango come narra un mito mediorientale, ma sono tutti “figli di un dio iperboreo”, con tutte le conseguenze che ne derivano. Quelle conseguenze che probabilmente Lombardo ha voluto suggerire al lettore ponendo in terza pagina una bella citazione di
Adriano Romualdi: “La scienza delle radici indoeuropee non ha un mero valore storico e antiquario. È la scienza di ciò che ci è affine e ciò che è estraneo, ciò che va accolto e ciò che va respinto. È il punto in cui si schiude l’orizzonte di una tradizione europea, una tradizione in cui ha posto anche una nuova prospettiva religiosa europea di radice nordica”. Queste parole dette da uno che è morto all’età di chi è caro agli dei colgono una essenza: la spiritualità indoeuropea non è roba da museo. Essa attende di essere espressa in parole nuove, adatte ai nostri giorni, parole che i nostri fratelli più giovani, i nostri figli di domani possano pronunciare mentre guidano automobili avveniristiche, mentre comunicano con i satelliti, mentre operano con il laser e scoprono nuove fonti di energia. Di due cose l’Europa ha bisogno per superare la crisi di passaggio dell’anno duemila: di cieli sempre più ampi per le sue scienze e la sua tecnologia, di una legge morale radicata nei suoi principi più arcaici. In modo che il futuro e il principio si chiudano in cerchio.
* * *
Julius Evola, Il “mistero iperboreo”. Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, quaderno n° 37 della Fondazione Julius Evola, a cura di Alberto Lombardo, con postfazione di Mario Giannitrapani, pp.96
Tratto da L’Officina dell’agosto 2002.




martedì 20 ottobre 2009

Trattato del Ribelle


Il Ribelle è deciso ad opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata.....

Se avere ancora un propio destino od essere considerato un numero: é questa la decisione che sta di fronte a tutti, ma che ognuno deve prendere da solo......

Il Ribelle, dunque, deve possedere due qualità. Non si lascia imporre la legge da nessuna forma di potere superiore nè con i mezzi della propaganda né con la forza. Il Ribelle inoltre é molto determinato a difendersi non soltanto usando tecniche ed idee del suo tempo, ma anche mantenendo vivo il contatto con quei poteri che, superiori alle forze temporali, non si esauriscono mai in puro movimento...

Nell'epoca del nichilismo, la nostra epoca, si é diffusa l'illusione ottica per cui il movimento sembra acquistare importanza a spese dell'immobilità. In realtà tutto il potere tecnico dispiegato oggi, altro non é che un effimero bagliore dei tesori dell'essere. L'uomo che riesce a penetrare nelle segrete dell'essere, anche solo per un fuggevole istante, acquisterà sicurezza: l'ordine temporale non soltanto perderà il suo aspetto minaccioso, ma gli apparirà dotato di senso.....

Il motto del Ribelle é 'hic et nunc', essendo il Ribelle uomo d'azione, azione libera ed indipendente: Abbiamo constatato che questa tipologia può comprendere solo una frazione delle masse, e tuttavia é qui che si forma la piccola elìte capace di resistere all'automatismo e di far fallire l'esercizio della forza bruta. E' l'antica libertà in veste moderna....

L'uomo del progresso, del movimento e delle manifestazioni storiche deve fare i conti con la propia essenza immodificabile, sovratemporale, che s'incarna e si trasforma nel corso dell storia. Sta in questo il piacere degli spiriti forti, fra i quali annoveriamo anche il Ribelle. In questo processo l'immagine riflessa si ricorda nel modello originario da cui irradia e in cui é inviolabile. In altri termini: l'essere ereditato ricorda il fondamento di ogni eredità......

Una delle grandi speranze é che vi siano rappresentanti, dei mediatori che aprano l'accesso alle fonti. Basta che in un solo punto si riesca realmente a toccare l'essere, perchè ciò abbia immense ripercussioni. Su questi eventi si fonda la storia, o addirittura la possibilità di datare il tempo: per l'uomo significa essere investito di una forza creatrice originaria, che assume contorni visibili nella dimensione temporale....

E. Junger

lunedì 21 settembre 2009

Afghanistan, tra lutti e diritto internazionale

I morti sono morti, le ardite anime dei nostri parà sono tornate a librare nei cieli; rimane solo un forte sentimento di amarezza in chi, nel paese, considera tutti i militari come un po’ come dei figli o dei fratelli e poi, soprattutto, rimane il pianto sommesso o straziato dei parenti delle vittime.


Il vociare su ritiri o non ritiri delle truppe, sul fatto che siano o meno in missione di pace o di guerra, sull’esporre o meno il tricolore dalle finestre in segno poi non si sa di che (sono soldati italiani ma morti in una guerra di coalizione e per quelli che di certo non sono gli interessi della Repubblica Italiana, né della nazione.. a meno che non si consideri un interesse il servilismo nei confronti degli imperialisti d’oltreoceano, o il rischio che come risposta al nostro intervento i “terroristi” attacchino anche l’Italia), questo vociare, insomma, non è altro che fiato al vento.. lo stesso vento che i nostri paracadutisti fendono come lame ad ogni lancio.


Il problema, come tutti i problemi, va analizzato all’origine, che in questo caso non è la vera e propria radice altrimenti dovremmo tirare in ballo le torri gemelle ed i vari sospetti di complotto.


E’ molto facile condannare l’intervento degli AmeriCani in Iraq: un’illegittima invasione della sovranità territoriale di uno stato nazionale non belligerante basato su tesi rivelatesi in seguito infondate (il possesso di armi di distruzioni di massa e fantasiosi collegamenti tra Saddam e Al Qaeda).


Altro discorso si può fare sull’attacco in Afghanistan, moralmente giustificato dal concetto di legittima difesa anch’esso previsto dal diritto internazionale. E’ il caso per questo di citare uno dei maggiori esperti nell’argomento: Benedetto Conforti. Il giurista tra le altre cose è membro della Commissione europea dei diritti umani e giudice della CEDU (Corte Europea dei diritti dell'uomo); presidente della Società italiana di diritto internazionale e dell'Institut de Droit International; membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei e del Curatorium dell'Accademie de Droit international dell'Aja. Nella settima edizione del suo testo “Diritto Internazionale” sostiene:


[…]Per quanto riguarda la dottrina Bush, rozza espressione di forza, essa è stata condannata o criticata da vari Stati ed anche dal Segretario generale delle Nazioni Unite innanzi all’Assemblea Generale dell’ONU (seduta del 23/09/2003, UN Gen. Ass, Off. Records, 58th sess. Plenary Meet)

In effetti la tesi della legittima difesa, anche nel caso di attacchi terroristici su vasta scala, come l’attacco alle torri del World Trade Center, lascia assai perplessi, trattandosi comunque di crimini internazionali individuali, che come tali andrebbero puniti, senza produrre altre vittime innocenti. E’ sintomatico del resto che, in due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, la ris. n.1368 del 12/09/2001 e la ris. n.1373 del 28/09/2001, adottate dopo l’attacco, è proprio la lotta al crimine internazionale che viene in rilievo: in esse, da un lato, si insiste sulla necessità che gli Stati collaborino per assicurare alla giustizia gli autori dell’attacco e i loro sostenitori e finanziatori, dall’altro si decide che gli Stati prendano una serie di misure non implicanti l’uso della forza, tra cui la prevenzione e la soppressione di ogni finanziamento del terrorismo, il congelamento dei fondi direttamente o indirettamente destinati a detto finanziamento, il divieto di fornitura di armi ai terroristi, l’adozione di severe norme penali ai terroristi e simili. Non c’è invece, in queste risoluzioni, alcuna autorizzazione all’uso della forza. E’ bensì vero che nei “considerando” di entrambe le risoluzioni si riconosce il diritto naturale di legittima difesa individuale e collettiva “in conformità alla Carta delle Nazioni Unite”, ma nessuno potrebbe seriamente fondare la legittimità della guerra su un “considerando”, peraltro assai equivoco, delle due risoluzioni.

mercoledì 26 agosto 2009

Socializzazione

Da http://movimentodiazionepopolare.blogspot.com/
Per comprendere a fondo l’enorme portata rivoluzionaria della Socializzazione, è necessario tornare un po’ indietro nel tempo: alla cosiddetta “Rivoluzione industriale”. Per Rivoluzione industriale si intende un processo di evoluzione economica che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale porta ad un sistema industriale “moderno”, il quale è caratterizzato dall’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili). Tale processo avviene gradualmente tra metà ‘700 e metà ‘800. In sostanza, però, cosa accade? La nascente impresa capitalistica dunque, dopo aver soppiantato la tradizionale impresa artigianale, grazie all’ampio impiego di macchinari sempre più numerosi ed efficienti, aveva sovvertito di fatto il rapporto tra il lavoro umano e gli strumenti di lavoro veri e propri. Nell’oramai antica impresa artigianale era la qualità dell’opera dell’uomo a determinare la qualità del prodotto e della conseguente retribuzione; nella nuova impresa capitalista, invece, era la macchina a conquistare il primato nei confronti del meccanismo produzione/profitto, riducendo di fatto l’uomo a suo accessorio. Inoltre nacque al tempo la famosa “legge bronzea dei salari”: essendo l’opera dell’uomo meno richiesta e, quindi, deprezzata, il deprezzamento doveva colpire necessariamente anche i salari (poi “salari di sussistenza”, ossia il minimo per la sopravvivenza stessa dell’operaio). L’imprenditore, a sua volta, smetteva di essere il “primo” lavoratore dell’impresa, comunque in rapporto umano con gli operai, e diveniva ora azionista: ossia colui che fornisce capitale. Ma cosa accade nella Socializzazione di una impresa? Alla gestione della impresa SOCIALIZZATA prende parte DIRETTA IL LAVORO. A imperare non è più quindi l’impalpabile e apolide tirannia del capitale, unico e anonimo beneficiario del profitto senza limiti e senza regole, bensì la co-gestione dell’impresa da parte di proprietari/capi (ma presenti e attivi) e operai/lavoratori (finalmente protagonisti). Ciò vuol dire: Consiglio di Gestione composto per la metà dai rappresentanti degli operai, eletti da quest’ultimi tramite votazione segreta. Imprenditore e lavoratori diventano quindi una comunità che opera di concerto per il bene dell’impresa stessa che essi rappresentano. Sì, proprio perché socializzare vuol dire anzitutto costituire una società; al contrario le società capitalistiche per azioni – contro ciò che comunemente si crede – non sono affatto loro stesse società, ma proprietarie di società, solamente fornitrici di capitali, e quindi avulse dai reali processi di lavoro e produzione.Nella Socializzazione, la vera e propria rivoluzione sta nella ripartizione degli Utili e nella destinazione delle Eccedenze (un buon marxista parlerebbe di “plusvalore”).Gli utili dell'impresa socializzata vengono ripartiti tra i lavoratori, operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi, in rapporto all'entità delle remunerazioni percepite nel corso dell'anno. Tale ripartizione non può superare comunque il 30 per cento del complesso delle retribuzioni nette corrisposte ai lavoratori nel corso dell'esercizio. Le eccedenze sono destinate ad una cassa di compensazione amministrata dallo Stato e destinata a scopi di natura sociale e produttiva.

giovedì 9 luglio 2009

Ancora Niba!!

martedì 30 giugno 2009

Gran Premio dell' EUR



Per uno che sogna da una vita di vedere dal vivo un gran premio.. questo sarebbe e sarà il più grande regalo.
Roma glorifcata come merita dalla più alta disciplina automobilistica, e la F1 impreziosita da quella che sarà la pista più bella del mondo!

lunedì 29 giugno 2009

martedì 9 giugno 2009

Giovani x Abruzzo

Avrei voluto tanto scrivere qualcosa sull'esperienza fatta come volontario per l'emergenza-sisma in Abruzzo, ma non sapevo da dove cominciare.. ed il tempo, per raccogliere le idee ed il significato di una delle cose più importanti fatte nella mia vita, è stato poco. Forse non lo farò mai, come spesso non fotografo i momenti belli per non bloccarli in una immagine ma viverli appieno sul momento e nei miei ricordi, non so se congelerò mai in delle righe una storia che appartiene a me ed ai miei fratelli di avventura.
Però uno dei tanti mattini a Villa Sciarra arriva una telefonata, un impiegato del ministero, ha voluto parlare con me e con gli altri, per intervistarci.. ed è con un discreto orgoglio che vi riporto, dal sito http://www.giovaniperabruzzo.it/, il testo che segue:

Matteo Gentilucci, 21 anni
«Credo sia una sorta di dovere morale, per tutti i giovani che ne hanno la possibilità, quello di partecipare ad iniziative come queste. Poi più avanti negli anni verranno la famiglia, il lavoro, gli impegni: ora è il momento di aiutare gli altri». Matteo Gentilucci, 21 anni, di Roma, è uno studente lavoratore che nel tempo libero si dedica alla militanza politica, e con le idee molto ben chiare sul perché subito dopo il terremoto ha scelto di partire per l'Abruzzo assieme ai giovani volontari del Ministero della Gioventù. Sono gli stessi perché con i quali esorta tutti i suoi coetanei a fare lo stesso, e a non perdere un'occasione importante per se' e per gli altri. Lui in Abruzzo c'è stato, e vorrebbe ritornare di nuovo. Perché dalla realtà vissuta in prima persona in quei giorni da volontario tra i terremotati è riuscito a trarre moltissimo.«Essere stati al campo della Folgore, a Navelli, ha contribuito ancora di più a rendere questa esperienza particolarmente formativa» dice. Vivere fianco a fianco con i militari, essere trattati come loro pari, condividere le fatiche, le difficoltà ma anche i momenti positivi, e imparare a pensare e lavorare come loro è stato un arricchimento dal punto di vista personale che difficilmente Matteo crede avrebbe potuto maturare altrove. «Da quando non esiste più il servizio di leva non sono certo molte le occasioni per i giovani di entrare in contatto con il mondo militare - spiega - Credo che, qualunque sia la scelta di vita che si intende fare, questa sia una pagina che non dovrebbe mancare tra le esperienze fatte».

http://www.giovaniperabruzzo.it/storie.aspx


domenica 31 maggio 2009

Idea e Rivoluzione

' Nondimeno, se nasceva una discussione, bastava un anarchico, sia pur l’ultimo e analfabeta, ma non erano quasi mai analfabeti anche se facevano un mestiere, per tener testa a un gruppo di socialisti.
“È vero o no” gli dicevano a che più si combatte insieme e più s’avvicina il giorno in cui ci sarà un mondo senza classi, senza più sfruttati e senza più sfruttatori?”.
“Poniamo di si” l’anarchico rispondeva.
“Come poniamo? Il numero fa o non fa la forza?”.
“Il numero fa gregge. Collettive sono le pecore che hanno sempre bisogno di tre cose: del pastore, del cane e del bastone. L’individuo è libero e arbitro di tutte le sue azioni”.
“Parli come un capitalista”.
“E vojaltri come dei preti”.
E venivano alle mani.
E nel migliore dei casi; “Con te non si può discutere. Voi anarchici siete dei Poeti”. '
( Vasco Pratolini )



Chi mi conosce sa da quale parte io starei in questa ottocentesca discussione, che il mio peregrinare telematicho ha portato fortuitamente tra le mie letture.
Abbiamo davanti a noi due rivouzionari ("E venivamo alle mani") che portano avanti le loro incomplete idee del mondo. Il socialista dalla sua ha una corretta ed efficace formula per muovere le masse e governare, al contrario l'idea individualista anarchica perde nel concreto in quanto folle utopia, ma il singolo anarchico tiene testa al gruppo di socialisti perchè ha qualcosa di più, di ultraumano ("Voi anarchici siete dei Poeti").
Ecco che arriviamo al dunque, ma prima soffermerei l'attenzione sulla frase "Parli come un capitalista" che messa così sembra una forzatura tesa alla provocazione ma contiene una grande verità: l'idea liberal-capitalista ha un evidente fondamento anarcoide (libero mercato, libera iniziativa, nessuna regola, nessun intervento dello stato etc.).. ora avete capito da che parte sto, sempre che voi condanniate come me i concetti anti-sociali contenuti nella precedente parentesi. ("L'anarchia è il primo gradino del potere assoluto." - Napoleone)
Dunque, dicevamo, al socialismo puro manca quel qualcosa di poetico, di sovraumano, di (azzarderei etimologicamente) religioso, che nella scientifica dottrina di Marx non troviamo e che fungerebbe da motore trainante alla rivoluzione.
Se quest'ultima verrà fatta dalle masse, esse non si possono considerare come atomi indivisibili.. ma come l'insieme dei milioni di cellule (i cittadini) che appartengono al pulsante cuore (il nuovo stato). Se non si riesce a raggiungere la volontà del singolo e trasmettere ad esso l'idea di appartenenza ad una comunità di fratelli si va incontro al fallimento, ed a chi tira in ballo il proletariato lancio la mia sfida nel trovarne i veri confini e le specificità.. soprattutto nel mondo odierno.
Ecco che da sè riaffiora un vecchio sogno, per molti un'illusione creata a tavolino dalla borghesia: la Nazione.
Il concetto di Nazione nel senso moderno è considerato ormai superato, ma i contenuti di Identità Culturale riacquistano valore soprattutto in un mondo globalizzato in cui le peculiarità dei popoli vanno sparendo. Sono innumerevoli i casi in cui assistiamo a strenue difese delle identità e delle tradizioni, e questo accade in ogni angolo del mondo.. dimostrazione che il concetto di "comunità di sangue" è insito nelle tradizioni ancestrali dell'uomo se non innato: è quello che Weber definisce "Volkgeist", uno "spirito di popolo" che spinge da dentro l'uomo alla tensione propria del senso di appartenenza che oggi consideriamo al di là della razza o del luogo di nascita ("Nell'Idea va riconosciuta la nostra vera patria. Non l'essere di una stessa terra o di una stessa lingua, ma l'essere della stessa idea è quel che oggi conta." - Julius Evola).
Ecco che il solo e piccolo uomo capisce di essere parte di una comunità e di appartenerle, ecco che si batte l'atomismo individualista proprio del liberalismo e che si pone un cappello spirituale all'incompleta base del sistema socialista. Ecco che avviene la rivoluzione, come sintesi dell'antitesi Identitaria e di quella Sociale, ecco il socialismo nazionale.

martedì 14 aprile 2009

Fabbricando case

L'arguto Massimo ha avuto una delle sue solite intuizioni, l'evidente scandalo suscitato dai crolli eccessivi causati dal sisma in Abruzzo ha portato alla luce quello per cui molti di noi non si sono stupiti.

UN POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI DI SANTI DI PENSATORI DI SCIENZIATI DI NAVIGATORI DI... PALAZZINARI!
E quindi torna d'attualità, come suo solito, il magnifico Rino Gaetano:




Fabbricando case ospedali casermoni e monasteri
fabbricando case ci si sente più veloci e più leggeri
fabbricando scuole dai un tuo contributo personale all'istruzione
fabbricando scuole sub-appalti e corruzione bustarelle da un milione
fabbricando case popolari biservizi secondo il piano regolatore
fabbricando case ci si sente vuoti dentro il cuore
ci si sente vuoti dentro il cuore
ma dopo vai dal confessore e ti fai esorcizzare
spendi per opere assistenziali e per sciagure nazionali
e ti guadagni l'aldilà.. puoi morire in odore di santità!
Fabbricando case ospedali casermoni e monasteri
fabbricando case ci si sente più veloci e più leggeri
fabbricando case assicuri un avvenire ai tuoi figli con amore
fabbricando case col sorriso e col buonumore
col sorriso e col buonumore
ma dopo vai dal confessore e ti fai esorcizzare
spendi per opere assistenziali e per sciagure nazionali
e ti guadagni l'aldilà.. puoi morire in odore di santità!
fabbricando case

domenica 29 marzo 2009

La formazione di una Coppia (Post n° 100!)

Concorso "100 post": Chi mi indovina il film da cui è tratta l'immagine vince un mappamondo.

La formazione di una coppia prevede almeno tre tappe, scandite da crisi praticamente annunciate:

Tappa numero uno, la fusione: penso come te, intuisco i tuoi pensieri, ci capiamo senza parlare, la complicità è totale...ci si ritrova nei panni del bambino di un tempo, in uno stato di totale regressione...in altre parole in quella fase idilliaca in cui si viveva in simbiosi con la propria madre...l'equazione della coppia è 1 + 1 = 1, l'io è annullato a vantaggio del noi...si vive insieme, si esce insieme, non si fa niente senza l'altro fino all'asfissia...a volte, ovviamente; è l'illusione su cui si fonda la vita a due, si è convinti di aver finalmente trovato il proprio doppio...

Quando si ascoltano le coppie capita spesso di avvertire una certa nostalgia per i primi tempi della relazione:è come se si rifiutassero di abbandonare questa fase di risveglio e di rivelazione...la terapia consiste nell'accettare e nel comprendere che un'altra realtà fa parte del passaggio iniziatico e che questo processo di maturazione è un'occasione di crescita per la coppia, bisogna imparare a rinunciare agli aspetti ormai superati della propria storia per continuare a costruire su altre basi...all'elaborazione del lutto fa seguito un percorso di rinnovamento, dopo la necessaria fase di idealizzazione è indispensabile evolvere verso una relazione costruttiva, fondata sulla comunicazione e sulla comunione: questo significa accettare il passaggio dal principe azzurro al compagno autentico, con il suo amore e le sue debolezze...per innamorarsi è necessario essere liberi mentalmente, disponibili, pronti all'incontro...l'altro pronuncia una parola, compie un gesto, lancia uno sguardo, ed ecco che scatta il meccanismo...perchè è proprio lui, al di là di ogni spiegazione razionale è una sottile alchimia che agisce, coinvolgendo le emozioni più profonde...anche se tutto sembra casuale esiste in realtà una rappresentazione inconscia che rende possibile l'avvicinamento.....

Tappa numero 3, l'esplorazione di sè e dei propri limiti:ciascuno dei due vuole vivere alcune cose in coppia e altre da solo...è la fase delle uscite con le amche, della riscoperta di attività prima trascurate, degli eventuali amanti, per mettere alla prova i sentimenti e ricevere conferme sul proprio potere di seduzione...E' iniziato il braccio di ferro per scoprire chi dei due avrà la meglio sull'altro...anche in questo caso si rischia fortemente di perdersi:in assenza di dialogo, frustrazioni e silenzi si accumulano come la calma prima della tempesta...E' solo dopo aver superato con successo queste prime tre fasi che la coppia raggiunge la piena maturità...alla fusione si privilegia la vicinanza, percepita come meno distruttiva: ognuno si accetta con i suoi desideri, le sue priorità, ma anche con i suoi blocchi e difese, e ognuno decide con cognizione di causa di mettere in comune quello che gli sembra accettabile e necessario affinchè la coppia continui a funzionare; non contenti di pagare insieme l'affitto, si vuole costruire intorno a sè una vera storia, altrimenti invece che di coppia sarebbe più corretto parlare di coinquilini...questo modo di procedere presuppone amore...

Questo modo di procedere presuppone amore, disponibilità all'ascolto e capacità di negoziazione, senza per questo lasciare spazio a compromessi inaccettabili...con il passare degli anni, se tutto va bene, la coppia arriva a vivere in sinergia, i figli sono cresciuti o hanno abbandonato il nido, i giochi professionali sono ormai fatti, il distacco permette di attingere alle proprie risorse e dedicare maggiore attenzione agli altri...Alcuni innamorati superano queste tappe passo dopo passo, mano nella mano, altri finiscono con il lasciarsi, alcuni falliscono una prima volta e affrontano poi con successo un nuovo tentativo...altri elaborano di volta in volta nuove strategie per vivere in due......

ed è così che un banale incontro si trasforma in un'eterna storia d'amore o in un fiasco colossale...non esistono regole , non esiste una durata normale , e neppure una ricetta che garantisca la riuscita...
L.d.A.

venerdì 27 marzo 2009

Preludio della stupidità

I Supertramp sono i Supertramp, inutile commentarli... e questo brano potrebbe anche non piacere ai più: è la loro Bohemian Rapsody, se mi permettete il parallelo anacronistico, e questo video/live gli rende perfettamente giustizia.. va visto dall'inizio alla fine.

giovedì 19 marzo 2009

"Whispers through my Gran Torino..."

Essere anziani in un mondo che cambia, esserlo anche dentro se non anagraficamente.. capita a tutti.
Scoprire anche che spesso è bella la differenza dell’altro, non mescolarsi e assimilare, ma percepire il fascino della diversità.
Tutti siamo affezionati al mondo che ci circonda e infastiditi dai cambiamenti, dai corpi estranei; ma sta all’uomo intelligente distinguere nei corpi estranei quelli benigni da quelli maligni.. senza cadere nell’ignoranza del “sò tutti uguali”, anche nei casi in cui di elementi buoni se ne trovano davvero pochi.
E può succedere anche che questo essere anziani ci fa portare dentro dei pesi morali dei quali non sappiamo sgravarci, e che la via possa essere la più inaspettata.. seppur passando attraverso i nobili canali dell’amore paterno, dell’attaccamento al territorio, al quartiere, al paese, della giustizia e soprattutto del sempre-verde eroismo.
E cosa può simboleggiare un’automobile, che tanti considerano solo un mezzo di trasporto, per chi ha un animo talmente profondo da attribuirle valore sentimentale ed artistico?
In Gran Torino ognuno può trovare tanto, fino alle lacrime, in un film dalla regia eccellente ma letteralmente ucciso dal doppiaggio italiano che ha reso farsesca la maggior parte dei dialoghi. E poi c’è Clint, che è sempre Clint.

martedì 3 marzo 2009

Esiste il male assoluto?

Se sbaglia un uomo non è più uomo? Esiste una colpa indelebile, un peccato originale dal quale è impossibile trascendere? C'è un tutto nero ed un tutto bianco... o forse queste sono le semplificazioni che permettono di vivere bene in un borghese sonno della ragione della critica e dell'intelligenza?


Solo per menti libere

sabato 28 febbraio 2009

Inglorious Trailer..



Mancano ancora tanti mesi, e non so se tutte queste piccole e rare rivelazioni che a mano a mano ci arrivano sono di conforto o peggiorano la febbrile attesa.. Io intanto aspetto aspetto ed aspetto, con tutti quelli che come me non vedono l'ora, per essere il primo.. mi ci gioco lo scalpo (Cuoio capelluto del sottoscritto, ndt)!!!!

sabato 21 febbraio 2009

100 anni fa

Pubblicato dal «Figaro» di Parigi il 20 febbraio 1909

MANIFESTO DEL FUTURISMO

1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.

2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

3. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.

5. Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

6, Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali.

7. Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.

8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.

9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.

11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.

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È dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologhi, di ciceroni e d'antiquarii.
Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl'innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
Musei: cimiteri!... Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che varino trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all'anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti... ve lo concedo. Che una volta all'anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo... Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volere imputridire?
E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell'artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?... Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un'urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.
Volete dunque sprecare tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati! ... ) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl'infermi, pei prigionieri, sia pure: - l'ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l'avvenire è sbarrato... Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!... Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!... Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite senza pietà le città venerate!
I più anziani fra noi, hanno trent'anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l'opera nostra. Quando avremo quarant'anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche.
Ma noi non saremo là... Essi ci troveranno alfine - una notte d'inverno - in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell'atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d'oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.
Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati dal nostro superbo, instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile inquantoché i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi.
La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. - L'arte, infatti, non può essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia.
I più anziani fra noi hanno trent'anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, d'audacia, d'astuzia e di rude volontà; li abbiamo gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato... Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!... Ve ne stupite?... E logico, poiché voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima delmondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!
Ci opponete delle obiezioni?... Basta! Basta! Le conosciamo... Abbiamo capito!... La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. - Forse!... Sia pure!... Ma che importa? Non vogliamo intendere!... Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!...
Alzare la testa!...
Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!...

lunedì 26 gennaio 2009

Sondaggio


Un sondaggio Rai sulla Guerra a Gaza; è interessante capire se l'opinione pubblica riesce ad avere un proprio spirito critico o assorbe, senza limiti, la propaganda telegiornalistica e dei grandi partiti.

Fatelo tutti, impiega 5 secondi:

venerdì 16 gennaio 2009

PALESTINA, Santoro e l'Annunziata

Da Il Messaggero.it: ROMA (16 gennaio) - Lucia Annunziata contesta Michele Santoro e lui seccato replica: «Anche tu come gli altri, dici solo fesserie». E Annunziata se ne va dallo studio sbraitando. Il motivo della lite. La giornalista ha accusato il giornalista di aver realizzato una puntata dedicata alla situazione a Gaza, «al 99,9% schierata» a favore dei palestinesi. Santoro ha polemicamente risposto alla Annunziata invitando la collega ad entrare nel merito e discutere di contenuti, evitando alla trasmissione critiche «che vengono avanzate da anni nei nostri confronti». Lucia Annunziata si è quindi alzata e ha lasciato la trasmissione.

Santoro sarà anche un dittatore ma, anche se non mi sarei mai aspettato di dire una cosa del genere sull'esempio vivente del giornalismo beceramente fazioso, stavolta gli sono ideologicamente vicino. Ormai avete capito come la penso.
Ecco un pezzo, quello caldo, della trasmissione in questione:

PALESTINA e Bin Laden?

Adesso gli Americani si sono inventati un altro messaggio di Bin Laden, stratagemma che utilizzano ogni volta che devono giustificare le azioni loro o, come in questo caso, dei loro amici.
Questa volta al sig. Laden hanno fatto invocare la guerra santa contro israele, come a dire: “Vedete, sono amici di Bin Laden, come Saddam.. quindi sono terroristi!”.
Bambini, donne, contadini terroristi.
Questa volta, però, per cambiare un po’ la solita storiella il governo americano ha lasciato che il sicuro effetto terrore se lo creasse da sola l’opinione pubblica, evitando di gridare al fuoco e sostenendo che il messaggio di zio Bin fosse un patetico tentativo di tornare sulla ribalta.
Probabilmente questa operazione era negli obiettivi statunitensi ancor prima dell’Iran, forse servito solo per spostare l’attenzione dai preparativi che i Savi di Sion stavano ordendo contro i loro decennali nemici. Quelli a cui hanno estorto terre e libertà.

martedì 13 gennaio 2009

Per i posteri

da parte di chi non vuole tacere o risultare colluso con i crimini che vengono commessi durante i suoi tempi.


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Dal Blog di Massimo:

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David Ben Gurion
Primo Ministro d’Israele, 1949-1954, 1955-1963

"Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti" (Ben Gurion and the Palestine Arabs, Oxford University Press, 1985)

"Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba" (Maggio 1948, agli ufficiali dello Stato Maggiore; Ben-Gurion, A Biography, by Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York, 1978)

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Golda Meir

Primo Ministro d’Israele, 1969-1974

"Non esiste una cosa come il popolo palestinese (…) Non è come se noi siamo venuti e li abbiamo cacciati e preso il oro paese. Essi non esistono" (dichiarazione al The Sunday Times, 15 Giugno 1969)

"Come possiamo restituire i territori occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli" (8 Marzo 1969)

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Menachem Begin

Primo Ministro d’Israele, 1977–1983

"I palestinesi sono bestie che camminano su due gambe" (discorso alla Knesset, riportato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the 'Beasts'," su New Statesman, 25 Giugno 1982)

"Sarei entrato in un’organizzazione terroristica" (risposta a Gideon Levy, giornalista del quotidiano Ha'aretzr, quando chiese a Barak che cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

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Ariel Sharon

Primo Ministro d’Israele, 2001–ad oggi

"Tutti devono muoversi, correre e prendere quante più cime di colline possibile in modo da allargare gli insediamenti perché tutto quello che prenderemo ora sarà nostro... Tutto quello che non prenderemo andrà a loro" (Ministro degli esteri d’Israele, aprendo un incontro del partito Tsomet Party, Agenzia France Presse, 15 Novembre 1998)

"Ogni volta che facciamo qualcosa tu mi dici che l’America farà questo o quello… devo dirti qualcosa molto chiaramente: non preoccuparti della pressione americana su Israele. Noi, il popolo ebraico, controlliamo l’America, e gli americani lo sanno" (31 Ottobre 2001, risposta a Shimon Peres, come riportato in un programma della radio Kol Yisrael)

"Israele può avere il diritto di mettere altri sotto processo, ma certamente nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato d’Israele" (25 Marzo 2001, citato dalla BBC News Online)

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E questo lo aggiungo io (solo per chi riesce a capire il perchè):

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Adolf Hitler

Cancelliere del Reich (Reichskanzler) 1933 e Führer della Germania 1934 - 1945

"Demoralizzare il nemico colpendo di sorpresa, spargendo terrore, sabotando e uccidendo. Così si vinceranno le guerre."

"L’acquisizione di nuovi territori si deve sviluppare solo verso est"
"La forza non sta nella difesa ma nell’attacco"

"Annientare una vita senza valore non comporta alcuna colpa, il debole deve essere distrutto."

 

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